Ci fu un periodo in cui la scienza
superò ogni suo limite e tutto ciò accadde solamente grazie a lui.
Successe in un piccolo laboratorio segreto dove uno strambo
scienziato riuscì ad avverare il suo folle desiderio di vendetta,
quel giorno la scienza osservò ciò che non vedette mai, la vita di
molte persone venne avvelenata dalla loro ingenuità, cose a noi
proibite vennero rivelate.
Ma a questo punto ci arriveremo più
tardi, forse è meglio cominciare dal principio di quell'assurda
idea;
Mandy era lì, con i suoi occhi
smeraldo, i suoi lunghi capelli castani raccolti in una coda di
cavallo malfatta, ed il suo naso sottile che le donava un'aria
delicata, stava contando i soldi nella cassa in attesa della chiusura
del locale, come sempre scorreva le banconote una dietro l'altra
senza batter ciglio, dopo che anche l'ultima veniva registrata nel
suo cervello le inseriva nuovamente nella cassa, la chiudeva a chiave
e si metteva a lucidare il bancone con il solito straccio che si
portava appresso, credo lo facesse solamente per pensare, per poter
dire “ho bisogno di qualche minuto per riordinare i miei pensieri
ma nonostante questo non sto perdendo tempo” e gli e lo si poteva
leggere negli occhi, trattava quel panno con estrema indifferenza,
con lo sguardo fisso sul piano in marmo e chissà quale fosse il problema che la faceva sbuffare alla fine delle sue riflessioni.
Ormai nella mia tazza si intravedeva il
fondo sporco di cioccolata fredda, ma io continuai a stare lì
fingendo di non averla ancora finita, la guardai con fare distratto
aspettando che lei venisse a ricordarmi l'orario di chiusura.
Dopo che adocchiò l'orologio si
diresse verso di me;
-Ragazzo, sai già quali sono gli orari
di chiusura, non posso sempre fare tardi...- ammise in tono stanco
sparecchiando il tavolino e dandogli una veloce pulita.
In effetti non ebbe tutti i torti, ma
la trovai così graziosa in quei suoi momenti di fretta da perdere
completamente il senso del rispetto.
Le dissi che mi dispiacque per il suo
ritardo e lei borbottò qualcosa facendomi cenno di consenso con la
mano.
-Ciò che hai preso lo offre la casa.-
affermò dirigendosi verso il bancone.
-Gentile da parte tua ma preferirei
pagare- risposi raggiungendola al lato opposto.
Mi misi a cercare il portafogli nella
tasca posteriore dei pantaloni e lei si voltò immediatamente, mi
lanciò uno sguardo minaccioso appoggiandosi al piano e puntando la
testa dritta su di me.
-Ormai ho chiuso a chiave la cassa,
quindi consideralo pure un mio regalo e levati di torno...- disse
frustrata.
Da lei me l'aspettavo una risposta del
genere, la maggior parte delle persone rimarrebbero sbigottite da
questo suo modo di fare, ma fu proprio uno degli aspetti che più mi
piacquero di lei, la sua sincerità e sicurezza che mise nel dire le
proprie opinioni la fecero sembrare così spavalda... .
Rimasi in silenzio per qualche secondo
e lei continuò a fissarmi alzando un sopracciglio,
-beh, che fai ancora qui...?- chiese
retoricamente
Sorrisi e mi diressi verso l'uscita,
-Buona serata Mandy- la salutai mentre varcai l'uscita,
intravidi la sua risposta da dietro il bancone e mi incamminai verso
casa.
Era una bellissima serata estiva
dell'anno duemiladodici, l'orologio della stazione segnava le 8:05,
la gente si dirigeva a casa per la cena ed io osservavo pensieroso il
marciapiede su cui stavo passeggiando, pensavo a lei; la immaginai mentre ribaltava le sedie sui tavoli e dava un'ultima
spazzata al pavimento, poi usciva fuori e osservava l'orologio della
stazione, chiudeva l'entrata e abbassava la serranda con la sua
solita frenesia, metteva la chiave in borsa e si incamminava a passo
veloce su per via Marconi.
Keiji Kentari
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