venerdì 10 maggio 2013

Prova II

Ci fu un periodo in cui la scienza superò ogni suo limite e tutto ciò accadde solamente grazie a lui. Successe in un piccolo laboratorio segreto dove uno strambo scienziato riuscì ad avverare il suo folle desiderio di vendetta, quel giorno la scienza osservò ciò che non vedette mai, la vita di molte persone venne avvelenata dalla loro ingenuità, cose a noi proibite vennero rivelate.
Ma a questo punto ci arriveremo più tardi, forse è meglio cominciare dal principio di quell'assurda idea;
Mandy era lì, con i suoi occhi smeraldo, i suoi lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo malfatta, ed il suo naso sottile che le donava un'aria delicata, stava contando i soldi nella cassa in attesa della chiusura del locale, come sempre scorreva le banconote una dietro l'altra senza batter ciglio, dopo che anche l'ultima veniva registrata nel suo cervello le inseriva nuovamente nella cassa, la chiudeva a chiave e si metteva a lucidare il bancone con il solito straccio che si portava appresso, credo lo facesse solamente per pensare, per poter dire “ho bisogno di qualche minuto per riordinare i miei pensieri ma nonostante questo non sto perdendo tempo” e gli e lo si poteva leggere negli occhi, trattava quel panno con estrema indifferenza, con lo sguardo fisso sul piano in marmo e chissà quale fosse il problema che la faceva sbuffare alla fine delle sue riflessioni.
Ormai nella mia tazza si intravedeva il fondo sporco di cioccolata fredda, ma io continuai a stare lì fingendo di non averla ancora finita, la guardai con fare distratto aspettando che lei venisse a ricordarmi l'orario di chiusura.
Dopo che adocchiò l'orologio si diresse verso di me;
-Ragazzo, sai già quali sono gli orari di chiusura, non posso sempre fare tardi...- ammise in tono stanco sparecchiando il tavolino e dandogli una veloce pulita.
In effetti non ebbe tutti i torti, ma la trovai così graziosa in quei suoi momenti di fretta da perdere completamente il senso del rispetto.
Le dissi che mi dispiacque per il suo ritardo e lei borbottò qualcosa facendomi cenno di consenso con la mano.
-Ciò che hai preso lo offre la casa.- affermò dirigendosi verso il bancone.
-Gentile da parte tua ma preferirei pagare- risposi raggiungendola al lato opposto.
Mi misi a cercare il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni e lei si voltò immediatamente, mi lanciò uno sguardo minaccioso appoggiandosi al piano e puntando la testa dritta su di me.
-Ormai ho chiuso a chiave la cassa, quindi consideralo pure un mio regalo e levati di torno...- disse frustrata.
Da lei me l'aspettavo una risposta del genere, la maggior parte delle persone rimarrebbero sbigottite da questo suo modo di fare, ma fu proprio uno degli aspetti che più mi piacquero di lei, la sua sincerità e sicurezza che mise nel dire le proprie opinioni la fecero sembrare così spavalda... .
Rimasi in silenzio per qualche secondo e lei continuò a fissarmi alzando un sopracciglio,
-beh, che fai ancora qui...?- chiese retoricamente
Sorrisi e mi diressi verso l'uscita, -Buona serata Mandy- la salutai mentre varcai l'uscita, intravidi la sua risposta da dietro il bancone e mi incamminai verso casa.
Era una bellissima serata estiva dell'anno duemiladodici, l'orologio della stazione segnava le 8:05, la gente si dirigeva a casa per la cena ed io osservavo pensieroso il marciapiede su cui stavo passeggiando, pensavo a lei; la immaginai mentre ribaltava le sedie sui tavoli e dava un'ultima spazzata al pavimento, poi usciva fuori e osservava l'orologio della stazione, chiudeva l'entrata e abbassava la serranda con la sua solita frenesia, metteva la chiave in borsa e si incamminava a passo veloce su per via Marconi.

Keiji Kentari








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